Alla scoperta dell’arte di Matteo Malingambi
24 Luglio 2015 | Inserito da Ombretta T. Rinieri under Arte, Bianca, Cronaca, Cultura, Lavoro, Spazio giovani |
Commenti disabilitati
|
ARESE – GARBAGNATE – Matteo Malingambi è un architetto di trent’anni. Ma è anche un pittore con il sacro fuoco dell’arte nelle vene di famiglia. Suo nonno Nino, fra i soci fondatori e vice presidente dell’associazione italiana acquarellisti, ha esposto per anni nelle maggiori città italiane, vinto premi nazionali e internazionali ed è stato insignito dal Comune di Milano dell’”Ambrogino d’oro”. Acquarellista di classe, di lui scrissero apprezzamenti , critici come Giovanni Rossi Bagli, Severino Di Candia, Mario Portalupi e Pino Zanchi.
Nel caso di Matteo, quindi, il sangue non è acqua. Architetto, Matteo è uno di quei giovani talenti italiani costretti ad arrabattarsi tra collaborazioni pagate male o nulla, che si è adattato a fare i lavori più disparati pur di cercare di non pesare in famiglia, cercando comunque di coltivare la sua passione per la pittura nel tempo libero. Da un annetto, però, quella che era solo una passione sta trasformandosi in una vera e propria professione. A incentivarlo la sua compagna e un amico, Stefano Bonfa di Garbagnate Milanese, che visti i suoi lavori non si è limitato solo a dire ‘che belli’, ma ne ha acquistati alcuni.
Allora, Matteo hai acquisito la tua passione dal nonno?
“Sì. Me l’h Passata quando ero ancora piccolo. Lo guardavo dipingere e mi appassionavo. Mi piaceva perché lui entrava in camera e in 5 minuti ti faceva un mazzo di rose. Poi magari in sei ore ne faceva sette e poi li buttava via”.
Eppure hai studiato architettura?
“Certo. Perché l’architettura ti insegna a guardare le cose in una maniera differente dagli altri. Vedi con un occhio più critico, che guarda ai colori, alla luce, ai volumi, al buio. Al nero, allo scuro, soprattutto. Nell’acciaio e nel vetro c’è un grande contrasto. Il vetro è trasparente e l’acciaio e il cemento invece sono scuri, ma se li sai accostare nel modo giusto viene fuori un risultato stupefacente. Con i colori è la stessa cosa”.
I tuoi quadri descrivono la natura. È l’opposto del costruito…
“Non è l’opposto. Da quando l’uomo è sulla terra, parliamo di milioni di anni fa, costruiva la sua capanna e nello stesso tempo cacciava. Quindi natura e architettura sono due cose che viaggiano su due binari diversi ma che si incrociano. Io non potrei dipingere un Cristo degli abissi se non avessi l’idea della luce che penetra, che sfiora il suo petto piuttosto che di una medusa. Trasparente nell’acqua la vedi bianca, perché il mare gli passa attraverso. Quindi non c’è tanta differenza tra un vetro che riflette la luce e il colore del cielo”.
E’ un anno che dipingi con profitto?
“In realtà sono dieci, poi nell’ultimo anno ho forzato la mano. Dipingevo su commissione, per le persone che me li chiedevano”.
Però non avevi mai pensato di far diventare la pittura la tua professione…
“Adesso è la mia strada. In programma ho altre mostre. Ora mi associo all’Associazione Arte di Garbagnate. Ho molte proposte per altre mostre. Anche se resto architetto comunque. Per esempio a settembre ho l’impegno di arredare il locale di un chirurgo molto importante di Milano”.
Matteo tu non dipingi acquarelli come tuo nonno. Realizzi dei lavori molto grandi e scenografici. Dev’essere materialmente impegnativo. Come fai?
“Io non dipingo in piedi . Sono un mancino. Dicono che i mancini sono estrosi, però quando appoggiano la mano sulla tela sporcano tutto. Allora sono costretto a dipingere con la tela parallela al tavolo o al pavimento in modo da poter appoggiare le dita e accompagnare la mano. E’ faticoso, soprattutto dopo ore di lavoro”.
In pratica dipingi come un architetto disegna?
“Esatto. Ogni tanto alzo la tela. Controllo la prospettiva e se è sbagliata la modifico”.
A trent’anni sei a una svolta…come vedi il futuro?
“Finalmente si svolta. I ragazzi che finito il liceo hanno iniziato a lavorare a 18 anni forse oggi sono sposati, sistemati e pagano il mutuo. Io mi sono laureato. Ho scelto questa strada. Forse non ho nulla. Però ho la cultura e mi sono accorto che in un anno possono cambiare tante cose: forse fra cinque anni, quando ne avrò 35, ne saranno cambiate tante altre. Quello è l’obiettivo”.
Ombretta T. Rinieri
(Il Notiziario – 24 luglio 2015 – pag. 66)