Gli operai Alfa hanno incontrato Beppe Grillo
2 Aprile 2012 | Inserito da Ombretta T. Rinieri under Area Metropolitana, Bianca, Cronaca, ex Alfa Romeo, Lavoro, Nazionale, Politica |
ARESE – Venerdì 13 a Milano, presso la IV sezione penale del Tribunale, si teneva davanti al giudice Orsola De Cristofaro l’ultima udienza del processo contro Angela Di Marzo, suo fratello Giuseppe Di Marzo e il loro collaboratore L.F. per la microspia piazzata nel settembre 2009 nell’ufficio di Giuseppe Sala, ex direttore generale di Palazzo Marino e oggi amministratore delegato di Expo 2015. Contemporaneamente, ad Arese, le forze dell’ordine sgomberavano davanti alla portineria Sud-Ovest dell’ex Alfa Romeo il presidio con il quale i settanta lavoratori licenziati dalla Di Marzo cercano da oltre un anno di attirare l’attenzione delle autorità e della società civile sulla loro situazione.
Madri e padri di famiglia con i capelli bianchi, rimasti senza stipendio, senza indennizzo di disoccupazione e senza cassa integrazione che si alternano a turno nella speranza che qualcuno prenda a cuore la loro causa. Il 31 maggio prossimo il Giudice De Cristofaro emetterà la sentenza, ma intanto gli operai, ex dipendenti Alfa Romeo passati poi ad Abp (Aig Lincoln) e infine a contratto con Innova Service, la società della Di Marzo, sono stati lasciati a casa l’11 febbraio 2011. Lo sgombero è avvenuto senza alcun preavviso e a colto gli operai, che attendevano di incontrare il commissario prefettizio Emilio Chiodi, di sorpresa.
Da tredici mesi gli operai sostavano con due tende da campeggio vicino alla portineria Sud-Ovest, proprio in concomitanza con la rotonda che porta all’imbocco dell’autostrada dei laghi al casello di Lainate, in cerca di una qualche visibilità per non scomparire nel dimenticatoio, sostenuti dalle bandiere del sindacato Slai Cobas. In realtà il 10 ottobre 2011 gli alfisti hanno anche vinto la causa per il reintegro, ma l’Innova Service ha cessato l’attività. Sicché il servizio nelle portinerie è stato preso in carico dalla società Ivri, mentre pulizie e manutenzioni vengono svolte da altro personale assunto in cooperative lavoro.
Sotto lo sguardo attento di un cordone di forze dell’ordine, mercoledì 18 aprile Beppe Grillo ha incontrat0 gli ex alfisti portando loro la solidarietà del Movimento 5 Stelle che per la prima volta è presente nelle elezioni amministrative del prossimo 5-6 maggio con la candidata sindaco Laura Antimiani. La sera prima, giovedì 17, in un auditorium strapieno fino all’inverosimile di cittadini aresini e garbagnatesi (era presente anche il loro candidato Matteo Afker) Grillo, che con un camper elettorale ha in programma di visitare 101 città, aveva scosso la platea chiedendo un nuovo processo Norimberga contro i partiti che hanno rubato soldi a due generazioni. “Nei sondaggi sono giù – ha rincarato – Siamo la terza forza nati dal nulla tre anni fa. L’anno scorso ci toccavano 1,3 milioni di euro in rimborsi elettorali, ma li abbiamo lasciati lì”.
Sull’area dell’ex Alfa Romeo il nuovo accordo di programma in discussione in Regione Lombardia disegna un centro commerciale, residenze e terziario. La trasformazione urbanistica, che cancella la vocazione industriale del territorio, dovrà passare nei consigli comunali di Arese e Lainate. Con il suo voto la maggioranza che si insedierà a giugno potrà fare la differenza tra speculazione e sviluppo. Gli operai lo sanno e lottano.
Guardando carabinieri e poliziotti Grillo ha considerato come la loro condizione economica non sia in realtà molto lontana da quella degli operai e che a contrapporli alla società civile sono gli ordini che vengono dall’alto di un sistema che starebbe ormai per scoppiare. Ai lavoratori che gli chiedevano di squarciare il velo sulla loro condizione, non ha fatto promesse. Nemmeno di tipo industriali ritenendo che il declino della Fiat sia iniziato dopo la partenza di Ghidella: “Un amministratore industriale che si sporcava le mani con il grasso dei motori”. Di Marchionne ha detto: “Visto che non si vendevano più automobili, ha smontato la sua azienda facendo scendere in cinque anni le azioni da 24 euro a 4, guadagnando 230 milioni di euro tra bonus, stipendio e altro. E’ cittadino svizzero, gira con il maglioncino misto cashmire e fa la politica della disintegrazione dell’industria italiana. E’ stato messo lì apposta. Perciò bisogna cambiare questo sistema industriale, imprenditoriale e politico”.
“Si tratta di operazioni in perdita – ha considerato Grillo commentando l’adp – costruiscono con concessioni in project finance. Prendono i finanziamenti e interrano rifiuti tossico nocivi mentre scavano, inquinando le falde. Come è successo a Santa Giulia”. Per uscirne, Grillo ha invitato gli alfisti a coinvolgersi e a votare per il Movimento 5 Stelle in modo da convogliare nella nuova forza politica le loro professionalità ed esperienze, mentre sulla questione della produzione di un’auto ecologica ha tolto ogni speranza.
“Non è questione di farla elettrica o a idrogeno. E’ finito il concetto di automobile. Nel ’74 la Renault fece la “Vesta 2”, che consumava un litro di benzina ogni cento chilometri. Ora la macchina del futuro si trova al Museo di Parigi. I prototipi venivano fatti per prendere le sovvenzioni. Per equiparare il diesel alla benzina. Lo hanno fatto tutti i marchi automobilistici. Era un cartello chiuso. Ma oggi la gente non può comprare tre macchine per far lavorare le fabbriche. Bisogna pensare a un altro modo di spostare gente”.
Infine l’attacco ai sindacati e a Confindustria: “Roba dell’800. L’alternativa è il Cobas moderno, con la rete, con le gestioni intelligenti perché anche la lotta lavoratore-padrone ormai non c’è più. E’ eliminata dalle srl e dagli appalti negli appalti. Io non posso portarvi fuori. Io posso portavi dentro un movimento. Siamo in un’emergenza totale, bisogna trovare i soldi per non far ammazzare le persone. Se qui ad Arese entrano in Comune questi cittadini, che sono parte di voi, sapremo tutto, filmeremo tutto quello che succede nelle commissioni. E’ l’unica chance”.
Ombretta T. Rinieri
(Il Notiziario – 20 aprile 2012)
AGGIORNAMENTO: sentenza per la microspia trovata nell’ufficio di Giuseppe Sala
Nel comunicato stampa dello Slai Cobas, sotto questo aggiornamento riportato, si menziona la vicenda della microspia trovata il 7 settembre 2009 nell’ufficio del city manager del comune di Milano Giuseppe Sala all’epoca della giunta Moratti per la quale erano stati rinviati a giudizio i signori Angela Di Marzo, Giuseppe Angelo Di marzo e L.F. e per la quale il Comune di Milano si era costituito parte civile.
In data 29 agosto 2012 è stata pubblicata la sentenza con cui il Tribunale di Milano ha assolto tutti gli imputati dai “reati loro ascritti perché il fatto non sussiste”, emessa il 31 maggio 2012.
La microspia, in realtà un registratore audio, dotato di un ricevitore radio FM, di batteria e di memoria digitale da 1 GByte alloggiato in una spypen, era stata ritrovata da L.F. durante un’operazione di bonifica commissionata dal comune alla società Adm srl dei Di Marzo. Il circuito elettronico poteva essere utilizzato alternativamente in modalità registrazione o in modalità ricezione, con una capacità media di registrazione di circa sette ore. Una volta ritrovata, la spypen era stata sigillata in una busta custodita nella cassaforte dell’Adm. Successivamente, la perizia giudiziaria accertava nel dispositivo tracce di file cancellati.
Inoltre, lo stesso giorno della bonifica, erano stati rinvenuti pure dei residui di scotch sotto la finestra dell’ufficio di Sala facendo ipotizzare la precedente di un’altra microspia.
Nel corso delle indagini, il pubblico ministero ha poi accertato che due degli indagati avevano precedenti penali per fatti simili e che il terzo era in possesso di una spypen in grado anche di videoregistrare. Il pm con una serie di altri collegamenti, fra cui il fatto che l’allora segretario del comune Mele aveva proposto una bonifica ambientale nell’ufficio di Sala (pur non essendo un esperto di sicurezza) dando l’affidamento diretto dell’incarico alla Adm della Di Marzo senza eseguire un precedente appalto, che i due si conoscessero e che il costo del servizio fosse irrisorio, ha tratto quale conclusione che il ritrovamento del dispositivo fosse una simulazione da parte degli imputati per ottenere dal comune di Milano altri incarichi nell’ambito della sicurezza.
Tesi accusatoria che non ha convinto il giudice il quale nelle sue motivazioni ha scritto “che non può dirsi che in questo modo la ditta si sarebbe accreditata presso il comune di Milano al fine di ricevere altri incarichi, perché “la stessa non aveva alcun bisogno di farsi conoscere in tale ambito in quanto la sua titolare era già personalmente nota al segretario generale come persona affidabile, che aveva già svolto incarichi delicati per diverse autorità…” e che per la bonifica ambientale non era stata la Di Marzo a proporsi, “ma glielo aveva chiesto – raccomandandole di tenere bassi i costi – lo stesso segretario generale”.
Il giudice ha riconosciuto come “certamente anomali il fatto che la bonifica delle stanze della Direzione Generale del comune di Milano sia stata affidata direttamente alla Adm (peraltro ditta non specializzata nello specifico ambito), senza prima operare una verifica dei prezzi di mercato e accertare quali fossero le ditte maggiormente qualificate nel settore”.
Ma ha anche ritenuto che “in mancanza di elementi indicati di altre oscure ragioni, tale condotta può essere attribuita a mera superficialità piuttosto che a indebiti accordi tra il Mele e la Di Marzo per favorire quest’ultima …”. “Può essere – aggiunge più avanti il giudice monocratico – che il collocamento della c.d. microspia sia avvenuto ad opera di persone gravitanti nell’ambiente del comune di Milano a propri fini o per fini altrui. E’ possibile che vi fossero soggetti interessati a conoscere particolari dell’attività svolta in quel periodo dal Direttore Generale definita dallo stesso dott. Mele “delicata” in quanto attinente alle linee strategiche del piano di governo”.
Il giudice ha poi considerato favorevolmente il comportamento tenuto dalla Di Marzo in sede di bonifica, che una volta ritrovato il dispositivo ha interrotto subito le operazioni e avvertito il Direttore Generale della scoperta della microspia, fatte le fotografie, chiesto consiglio al comandante provinciale dei carabinieri di Milano “da lei conosciuto personalmente”.
Diverse le considerazioni riguardo ai dipendenti comunali. Scrive il giudice nelle sue motivazioni: “Non si sono, invece, comportati in modo altrettanto lineare i funzionari del comune interessati: infatti gli stessi hanno preso inizialmente tempo – probabilmente allo scopo di evitare la fuoriuscita di notizie scandalistiche – e hanno provveduto a presentare denuncia soltanto nei giorni successivi. Tale comportamento ha di fatto impedito di eseguire un immediato sopralluogo a cura di sezioni di P.G. specializzate, di cautelare l’ufficio interessato, di rilevare eventuali impronte digitali e di ispezionare i computer dei dipendenti del Comune che erano a maggiore contatto con il Direttore Generale. In secondo luogo, le intercettazioni telefoniche eseguite nei confronti degli imputati hanno dato esito negativo, esito parimenti negativo hanno avuto le indagini sui computer e sugli altri dispositivi elettronici rinvenuti in possesso degli imputati non essendo stato accertato alcun inserimento sugli stessi di congegni dotati di porta Usb all’ora e alla data di creazione dei files di sistema rinvenuti nella memoria della microspia”.
N’ è conseguita la sentenza assolutoria: “ Alla luce di tutte le osservazioni svolte gli imputati devono essere assolti dai reati loro contestati ai sensi dell’art. 530 co. 2 cpp perché il fatto non sussiste”.
NOTA GIORNALISTICA: E’ stato quindi accertato che Giuseppe Sala sia stato spiato proprio nel periodo durante il quale il Comune di Milano prendeva importanti decisioni sul piano del governo del territorio con riferimento anche alle aree Expo e Alfa Romeo.
Non è emerso dalla sentenza cosa avesse indotto il segretario comunale Mele ad avere il sospetto che Sala fosse spiato tanto da indurlo a chiedere una bonifica ambientale dell’ufficio del direttore generale e come mai i funzionari del comune non abbiano proceduto nella maniera che secondo il giudice sarebbe stata giuridicamente più opportuna.
E oscuri, purtroppo, sono rimasti i responsabili dell’intercettazione.
Ombretta T. Rinieri
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http://archiviostorico.corriere.it/2012/aprile/19/Tappa_Arese_del_camper_Beppe_co_7_120419032.shtml