Si è spento Miro l’ultimo partigiano rhodense
22 Luglio 2024 | Inserito da Ombretta T. Rinieri under Associazioni, Cronaca, Cultura, Locale, Nazionale, Personaggi, Politica |
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RHO-LAINATE – Si è spento Vladimiro Zeminian (nato Zeminianno), l’ultimo dei partigiani rhodensi ch’era ancora in vita. Nato il 12 gennaio 1926 a Stienta (Rovigo), negli ultimi anni era residente a Lainate. Il suo nome di battaglia nella 118° Brigata Garibaldi “Servadei” era “Miro” e sulla sua esperienza scrisse il libro “Memorie del partigiano Miro, operaio all’Alfa Romeo”.
Il padre era emigrato in Brasile, poi, perseguitato in quanto anarchico, aveva fatto ritorno in Italia. Quando Vladimiro aveva solo due anni, nel 1928 la famiglia si spostò a Rho, alle porte di Milano. Il padre trovò lavoro all’Alfa Romeo e anche Valdimiro venne assunto nel 1941 come apprendista aggiustatore meccanico, a soli quindici anni, dopo avere frequentato la scuola tecnica professionale.
L’opposizione al fascismo e poi al nazifascismo crebbe all’interno delle fabbriche e si fece sentire anche all’Alfa Romeo, allora con sede a Milano. Vladimiro Zeminian ha raccontato più volte la sua esperienza agli studenti di Rho insieme con i rappresentanti dell’Anpi rhodense, parlando della propria famiglia antifascista, del nascondiglio che si era creato in cantina, dei suoi vent’anni trascorsi a combattere per la libertà e dei diversi episodi in cui ha rischiato di morire.
Gad Lerner lo intervistò per NOI Partigiani, il Memoriale della Resistenza Italiana ideato dall’Anpi nazionale. Dalle interviste è tratto questo suo racconto della lotta di Liberazione:
“Mio padre era fortemente oppositore del governo fascista. Ho respirato in casa lo spirito antifascista e, quando seppi che stavano nascendo delle formazioni partigiane, il mio primo pensiero è stato che volevo entrare a farvi parte. Non tolleravo che il fascismo ci condizionasse la vita, a scuola e al lavoro. Dovevi sempre partecipare alle loro cerimonie. Quando mi chiamarono per prestare servizio militare nella Repubblica di Salò nel 1944, disertai, non mi presentai alla caserma. Presero me e presero anche tanti altri: andammo al distretto a Monza e, dopo una sorta di condono, formarono la compagnia di genio guastatori a Somma Lombardo sul Ticino. In dodici avevamo le stesse idee, un bel gruppo: una domenica al fiume trovammo i partigiani, ci accordammo per andare con loro. Alla caserma La Maddalena eravamo circa 150: metà vennero con i partigiani, metà rimasero. Disarmammo gli ufficiali e scappammo via, un giorno che nevicava tantissimo. Ci inseguirono. Le pallottole ci soffiavano accanto. Per fortuna nessuno rimase ucciso”.
Era la prima brigata lombarda guidata dal comandante Antonio Ielmini detto Fagno, nel Gallaratese. Da lì il gruppo salì in montagna unendosi alla Brigata Servadei, consistente e organizzata, guidata dal comandante generale Cino Moscatelli.
Continua il racconto di Miro: “Eravamo in quattro di Rho. Un mio amico presto venne rastrellato e portato a Bolzano dove venne torturato. Finimmo tutti in formazioni diverse, non ci siamo più rivisti fino al 25 aprile. Dormivamo nelle stalle, quando la gente ci ospitava. Tanti ci davano da mangiare, la gente ci voleva bene. Il 14 aprile ci fu una grossa battaglia ad Arona, si sentiva che stava per finire tutto. C’era grande confusione e altri partigiani ci catturarono. Il 24 aprile sono sceso dalla montagna a piedi fino alla Caproni dove si trova il campo di aviazione a Lonate Pozzolo. Da lì prendemmo una macchina tedesca e con altri quattro scendemmo verso Milano a trovare le famiglie che non ci vedevano da tanto tempo”.
La pace, le famiglie ricongiunte, la partecipazione al corteo di maggio in piazza Duomo, dove parlarono tra gli altri Ferruccio Parri e Sandro Pertini, “politici veri” come diceva Vladimiro. Miro ricevette riconoscimenti per la lotta compiuta, anche da parte dei generali americani. Il mitra Stent lo seppellì a Mazzo, perché non voleva restituirlo, ma poi non lo ha mai recuperato. Per un certo periodo partecipò alla Polizia Partigiana, poi lasciò l’Alfa Romeo e si mise in proprio, aprendo una officina meccanica che poi ha dato lavoro a figli e nipoti. Negli ultimi anni la perdita della vista, poi gli acciacchi dell’età avanzata.
Ai ragazzi che gli chiedevano cosa avesse lasciato in lui l’esperienza partigiana, Zeminian rispondeva: “Mi ha lasciato una mentalità onesta. I partigiani mi hanno insegnato a vivere in modo giusto, corretto. Un giorno trovai molti soldi che erano dei fascisti, potevo tenermi tutto ma lo consegnai al comandante. Dopo il 25 aprile la gente si aiutava, a costruirsi una casa, a cercare lavoro. Piano piano si è cambiati. Le nuove generazioni sono poco informate, si rischia di dimenticare tutto, di perdere quei valori. Io sono partigiano sempre”.
Un video realizzato dagli studenti di Cannizzaro Tv si trova online e permette di conoscere meglio l’ultimo dei partigiani rhodensi.
Da Comunicato stampa Comune di Rho