Covid e Pandemia: L’impatto su cervello e psiche
30 Ottobre 2020 | Inserito da Ombretta T. Rinieri under Cronaca, Inchieste, Sanitaria, sars-cov-2, Scuola, Sociale |
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INTERVISTA – Parla Renato Durello, Direttore del dipartimento di salute mentale e dipendenze ell’Asst Rhodense: “Io avrei aspettato a riaprire scuole e stadi…”
GARBAGNATE – Cervello e psiche. L’essere umano è questo. Ma cosa può accadere se un essere invisibile intacca l’uno e squilibra l’altra? Non se ne parla molto. L’argomento resta sottotraccia. Eppure quando l’equilibrio tra cervello e psiche salta, a essere intaccate sono le relazioni umane tra gli individui e nella società.
Il virus Sars-Cov-2 non danneggia solo i polmoni, ma anche altri organi come il cuore, l’apparato vascolare, il fegato e, il cervello. Affrontiamo l’argomento con lo psichiatra Renato Durello, direttore del dipartimento di salute mentale e dipendenze patologiche dell’Asst Rhodense con sede a Garbagnate Milanese.
Le unità operative del dipartimento sono la psichiatria ospedaliera territoriale presente nei nosocomi di Garbagnate, Rho e Passirana, la psichiatria giudiziaria, la neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza, la psicologia clinica e i servizi di dipendenza. Ognuna di queste unità operative ha un suo direttore con medici e infermieri piuttosto che educatori e assistenti sociali che gestiscono le varie attività di competenza.
Da segnalare anche i Cps (centro psicosociale) presenti a Cassina Nuova, presso l’ospedale di Bollate, a Rho e a Settimo Milanese che fanno parte di quella medicina territoriale che si sono salvati dai tagli operati negli ultimi vent’anni.
In questo periodo pandemico, il Dipartimento di salute mentale e dipendenze sta fornendo, con i propri collaboratori, un sostegno psicologico a medici e infermieri impegnanti sul campo e sostegno psicologico ai familiari dei pazienti colpiti dal Covid-19.
In senso allargato, fuori dal dipartimento, ma sempre all’interno del’Asst Rhodense, l’Unità operativa di tutela della famiglia sta invece garantendo il sostegno psicologico a tutti quei cittadini che hanno bisogno di informazioni.
Dottor Durello, il virus può danneggiare il cervello?
“Si è visto – conferma Durello – che questo virus può danneggiare le strutture cerebrali. Non si è ancora compreso se è un danno dovuto all’azione diretta del virus oppure se è un effetto della reazione immunitaria”.
In un programma tv è stato mostrato un cervello intaccato dal virus andato in necrosi. E’ così grave?
“In alcuni soggetti si sono verificate delle azioni necrotiche sul cervello determinate da a una reazione vascolare. È come se si formassero a livello cerebrale delle micro trombosi che ne necrotizzano il tessuto. Tuttavia non è la regola. A livello di sistema nervoso centrale sono più frequenti sintomi meno gravi come la perdita del gusto e dell’olfatto, stanchezza, mal di testa, vertigini o uno stato confusionale”.
Qual è la cura?
“Se la causa è un problema vascolare è necessario diminuire la reazione infiammatoria e i fenomeni di coagulazione. Gli altri sintomi sono un po’ altalenanti. Si presentano. Scompaiono. Poi la situazione si normalizza”.
Come ci si è accorti che il virus poteva impattare sul cervello?
“Dalla casistica clinica. Si sono notate più persone con sintomi più o meno uguali, seppure con intensità diversa, e quindi si è capito che si trattava di un fenomeno legato all’infezione. A quel punto, su indicazione dei clinici, gli specialisti hanno eseguito indagini strumentali con le tecniche di neuro imaging per andare a vedere le condizioni del sistema nervoso centrale”.
Stiamo parlando di pazienti ricoverati?
“Non solo. Anche su pazienti esterni, perché come si diceva all’inizio, i sintomi a livello encefalico non necessariamente si presentano sulle persone che hanno una condizione grave. Sono presenti anche su persone non così gravi d’aver bisogno di un ricovero e che quindi possono essere curate al loro domicilio”.
Pazienti con tampone o test sierologico positivi?
“Certo. Con entrambi. Perché il test sierologico può essere positivo in quanto la persona è venuta a contatto con il virus e ha gli anticorpi, mentre il tampone può essere negativo in quanto il virus non è più presente nel suo organismo”.
Come siete arrivati a occuparvi dell’emergenza?
“All’inizio in forma indotta attraverso quello che accadeva nelle altre specialità e, quindi, nel momento in cui abbiamo dovuto provvedere sia con i due reparti di Psichiatria sia con i con i servizi dei Cps, Sert e Noa, Neuropsichiatria Infantile e Psicologia Clinica a gestire le attività in sicurezza, per evitare la diffusione delle infezioni, abbiamo dovuto riorganizzare l’accoglienza dei nostri pazienti. Successivamente, in piena pandemia, è emerso il problema di chi era sul campo a fronteggiarla”.
Quali sono stati i maggiori problemi e quali le persone più colpite?
“Quando una persona vive una realtà molto stressante con tante preoccupazioni per la propria salute, per la salute dei familiari l’ansia è molto intensa, molto interna e arriva a conclamarsi con attacchi di panico. E’ quello che abbiamo riscontrato a causa di questa pandemia sia negli operatori impegnati sul campo che nei nostri pazienti. Sono disturbi da stress post traumatici che oltre all’ansia comportano insonnia, cefalea, caduta della motivazione e uno stato depressivo legato a queste condizioni di stress molto intenso e prolungato nel tempo”.
Che tipo di aiuto viene dato in questi casi?
“Agli operatori un supporto psicologico con colloqui e counseling individuali. Più o meno è stato fatto lo stesso con i nostri pazienti abituali. Oltre all’aiuto psicologico vi è anche quello farmacologico o entrambe le modalità a seconda dei casi. Finito il lockdown la situazione è andata poi normalizzandosi con l’estate. Paradossalmente, nell’ambito della salute mentale, una persona con difficoltà a relazionarsi si è sentita durante la chiusura legittimata a mantenere il proprio sintomo perché ha evitato di doversi mettere in rapporto con gli altri. In chi invece non ha questo tipo di situazione, il lockdown piuttosto che questa diffusione pandemica del virus, hanno generato purtroppo tutta una serie di preoccupazioni, problemi e ansie assolutamente comprensibili”.
Quando una persona arriva a chiedere aiuto?
“La sintomatologia psichica può essere di varia intensità e a volte prima che la persona riesca a decidere di affrontare un problema di ansia passa un po’ di tempo. Di solito cerca aiuto quando l’ansia ormai è diventata invasiva e duratura. Con la pandemia in alcuni casi non si è trattato solo di ansia, ma addirittura di perdita di controllo, agitazione psicomotoria e quindi aggressività. Sono stati però casi rari. Non è certo la situazione più frequente”.
Che impatto ha avuto il Covid-19 sulle persone con problemi di dipendenze?
“Nessun impatto particolarmente importante. Tranne che per quelli che giocavano a casa con il computer, addirittura il lockdown della scorsa primavera ha avuto un effetto di contenimento sui giocatori d’azzardo impediti ad andare a giocare alle slot”.
Si sono verificati caso di violenza sulle donne a causa della convivenza forzata per il lockdown?
“Il lockdown può avere esasperato delle situazioni già presenti e so che in alcuni casi è accaduto. Tuttavia nella pratica del nostro dipartimento non ho in mente situazioni del genere”.
La paura del contagio. Le misure di contenimento personale e il distanziamento sociale possono sfociare in fobie con un aumento di ipocondriaci?
“Per molte persone l’epidemia ha peggiorato alcuni aspetti psicologici che erano già presenti. E’ il caso degli ipocondriaci e degli ossessivi compulsivi. L’ansioso poi è diventato ancora più ansioso. Chiaramente un po’ è inevitabile, perché questa situazione di pericolo pandemico preoccupa tutti e chi è già preoccupato, in ansia, non può che peggiorare”.
Il problema dell’ansia è in genere sottovalutato. Mi viene da pensare a cosa provano i bambini e i giovani, costretti nelle scuole a stare distanziati fra loro nella stessa classe, a tenere su le mascherine come i chirurghi durante gli spostamenti per la paura di prendere il virus dal compagno. E’ una situazione contro natura….
“Questo è un problema sicuramente importante da affrontare. Lì ci vorrà la collaborazione e l’attenzione non solo degli insegnanti e dei genitori, ma anche di chi si occupa di educazione psicopedagogica”.
Dottor Durello, in questa situazione, lei le scuole le avrebbe riaperte?
“In questo momento il mio atteggiamento è improntato alla cautela. Lo dico tranquillamente, perché poi la responsabilità che ci si porta dietro è enorme. Mettere dei vincoli. Mettere degli obblighi. Mettere delle protezioni così, può in qualche modo provocare delle reazioni che poi alla lunga rendono una persona più fragile. Peraltro è anche vero che in questo momento se non si usano le giuste attenzioni il rischio può essere maggiore. E’ vero che si cerca un po’ di contemperare le diverse esigenze, però con un atteggiamento improntato alla maggior cautela possibile io avrei aspettato un momentino ad aprire le scuole, gli stadi e tutte le altre varie situazioni potenzialmente a rischio di assembramento”.
Ombretta T. Rinieri
Articolo pubblicato su “Il Notiziario” il 30 ottobre 2020 a pag. 65