L’arcivescovo Mario Delpini visita Arese
1 Febbraio 2019 | Inserito da Ombretta T. Rinieri under Cronaca, Eventi, Religione, Sociale |
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50ESIMO DELL’ORATORIO – Sentita la partecipazione della comunità cristiana – Ai giovani: vivere l’oratorio come trampolino di lancio e non come rifugio
ARESE – “Kaire!” (Rallegrati). E’ il saluto con cui i giovani della comunità cristiana di Arese hanno accolto mercoledì 30 gennaio l’arcivescovo di Milano Mario Delpini, in visita pastorale alla città per il 50esimo anniversario dell’oratorio di Arese e per la festa di san Giovanni Bosco.
Ad accogliere il vescovo il sindaco Michela Palestra con la sua giunta, i vertici militari dei carabinieri e i volontari delle associazioni dei carabinieri, degli alpini e dell’ambulanza della Misericordia.
La celebrazione ha avuto inizio con una messa solenne in “Maria Aiuto dei Cristiani”, concelebrata da Delpini insieme ai sacerdoti salesiani e al loro ispettore don Giuliano Giacomazzi, a monsignor Giordano Ronchi del Duomo e al responsabile del decanato, monsignor Maurizio Pessina. Alla funzione hanno partecipato tutti i bambini della catechesi con le loro famiglie, i ragazzi, gli adolescenti e, appunto, i giovani dell’oratorio e lo staff organizzativo dell’evento coordinato dal laico Franco Sarto.
“Dov’è il paese felice? Ecco se tu poni questa domanda ti guardano come se tu fossi un tipo strano – ha detto il vescovo nella sua omelia – perciò la domanda non si può porre. Eppure è presente in tutte le età, in tutte le situazioni. In tutti quelli che non vogliono rassegnarsi al paese grigio, triste e lamentoso. Come ci si arriva? Ci si arriva credendo nella promessa di Gesù. Ci si arriva non volendo arrivare primi, ma facendosi servitore di tutti. Ci si arriva perché si lascia che la nostra umanità, magari un po’ imperfetta, trasfiguri per assomigliare all’umanità di Gesù. E io immagino che chi arriva nel paese felice sente subito un saluto. Kaire!, cioè rallegrati, hai trovato il paese della gioia”.
Terminata la funzione, Delpini si è poi spostato in corteo, accompagnato dalla Filarmonica Giuseppe Verdi e insieme alle autorità civili e militari, sotto il milite ignoto in piazza Dalla Chiesa dove ha benedetto la città di Arese e, varcato il cancello dell’oratorio, la targa in marmo affissa sulla sua facciata in ricordo dell’anniversario. Infine ha incontrato i giovani oratoriani.
“Ci piace fare le cose che vengono proposte in oratorio . Ci troviamo bene in gruppo. Dall’altro lato però ci dispiace rinunciare a quelle che sono attraenti fuori. Come fare per comporle?”, ha chiesto un ragazzo. “Si deve venire in oratorio – ha risposto il vescovo milanese – non perché spinti dai genitori, ma perché attratti dalla presenza degli altri e dalle proposte interessanti e belle. Non dovete sentirvi mortificati in niente di quello che è buono. Certamente che uno dice, però le cose più divertenti non sono le cose buone, ma quelle fatte di nascosto, fare un po’ il matto, ubriacarmi un po’, prendere qualche sostanza eccitante. Questa è la seduzione del male, che fa male alla tua anima, al tuo corpo, alle tue relazioni. Perciò io dico, il cristianesimo non impone di rinunciare a niente di buono, però ti dice anche che quella strada lì finisce in un burrone. E quando si cade giù ci si fa male. La grande forza che conduce a essere oratoriani anche fuori dall’oratorio sono, sul modello di don Bosco, l’allegria, la gioia vera e l’impegno. La seduzione del male può derivare dal desiderio di un po’ di compagnia, però se la compagnia che costruite qui è vera amicizia, diventa un luogo dove si sta bene insieme e dove forse insieme potete anche un po’ resistere alla seduzione del male”.
Ma Delpini, rispondendo a una ragazza che parlava del loro ruolo di giovani educatori dei più piccoli, ha anche sollecitato i giovani a “uscire” nel mondo, a considerare l’oratorio come un trampolino di lancio e non come un nido in cui rifugiarsi.
“Quello che voi fate è molto impegnativo per chi fa il capo scout, l’animazione – ha detto – però i giovani devono essere giovani. Non siete qui per tener su le mura dell’oratorio. La vocazione cristiana ci manda là in università, là sul lavoro, vicino ai disabili, là con la nostra famiglia, là dove vado all’Erasmus. L’età giovanile è un’età da protagonisti. Dovete parlare fra di voi di politica, di come è organizzata la scuola, di cos’è l’amore, di cos’è il rapporto di coppia. Dovete parlare delle cose che vi preparano a diventare adulti”.
Trovando spunto nell’analogia del vaso rotto, Delpini ha anche parlato ai ragazzi di quando nelle comunità si vivono momenti di smarrimento a causa di avvenimenti che scandalizzano, che le mandano un po’ in cocci. Come si fa allora a stare ancora insieme?
“E’ importante che ci siano persone che dicano: io amo questa comunità. E perciò mi sacrifico per tenerla insieme, per ricongiungerla, per andare a cercare chi si è allontanato, per chiedergli scusa anche se io non ho fatto niente di male. Però, mi dispiace che uno si sia sentito a disagio nella mia comunità. Chi ama la comunità può dire: cosa possiamo fare? Non possiamo dire: be’ se ne sono voluti andare, se ne vadano. Non possiamo dire: la porta è aperta, se vogliono tornano. Mi pare che esista una tecnica, che dei cocci di un vaso rotto fa una tale ricostruzione che il vaso ricostruito sia più prezioso di quello che era in origine. Forse mettono dentro dell’oro che compatta i cocci. Non so. Io vorrei augurare che in ogni difficoltà, la comunità trovi le persone che come il filo d’oro metta insieme i cocci.
Ombretta T. Rinieri
pezzo pubblicato su “Il Notiziario” del 1° febbraio 2019 a pag. 66