“Quando arrivò Intese sembrò la lampada di Aladino”
20 Luglio 2018 | Inserito da Ombretta T. Rinieri under Arte, Centro sportivo Arese, Cronaca, Cultura, Giudiziaria, Impegno civile, Inchieste, Locale, Personaggi, Politica |
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INTERVISTA – Sentenza Facs, parla Enrico Beruschi che era uno dei consiglieri nel consiglio di gestione
ARESE – Il suo in Fondazione Arese Cultura e Sport era il nome di richiamo, “televisivo”. Classe 1941, milanese di nascita ma aresino dagli anni 80, chi non conosce Enrico Beruschi? “Non stop”, “La Sberla”, “Luna Park” e “Drive In” hanno fatto ridere milioni d’italiani e anche se adesso lo “zio Enrico” è avvezzo più al teatro che al piccolo schermo, è rimasto nell’immaginario collettivo per quella sua comicità spensierata e ironica che si accompagna con quel suo modo buffo di mimare personaggi e situazioni.
Era l’inverno di metà anni Duemila, quando con le valigie sulla porta per partire alla volta di Chieti per la sua prima regia teatrale con lo spettacolo “Il Barbiere di Siviglia”, quando riceve la telefonata del sindaco Gino Perferi: “Vuoi far parte della nuova fondazione culturale e sportiva di Arese? Tu sei una persona perbene, tutti ti conoscono, potresti dare una mano alla tua città”.
“Mi colse un po’ di sorpresa – racconta oggi Beruschi, uscito vincitore dalla sentenza che il comune gli aveva intentato contro insieme agli altri dieci membri di fondazione per aver consegnato il centro sportivo alla società Intese – e così ci pensai su mentre ero a Chieti, poi da lì mandai un fax al comune con la mia accettazione. Era bello che partecipassi come gli altri, tutti stimati professionisti, che si attivavano per fare delle cose buone”.
L’atto costitutivo di Facs prevedeva per i suoi componenti un gettone, ma pieni di entusiasmo, ci rinunciarono tutti di buon grado fin dalla prima riunione. Qualcuno degli altri componenti Beruschi lo conosceva come genitore da quando il figlio nell’età dell’adolescenza aveva giocato al centro sportivo. Ma per la maggior erano persone con cui il comico è entrato in contatto in quell’occasione.
“Io non sono uno sportivo e non lo sono mai stato – dice – accettai di partecipare più per l’aspetto culturale. Infatti con Emanuele Colla ci occupammo prevalentemente della scuola di musica. Organizzammo anche degli spettacoli per risollevarne l’amministrazione che era un po’ in disordine. Faceva sempre parte della buona volontà dei cittadini”.
In quella prima fase a gestire il centro sportivo vi era la storica associazione Ccsa, presidenza Nestri. In base agli accordi con il comune, il Ccsa avrebbe dovuto riconoscere un affitto a Fondazione con le cui risorse poi Facs avrebbe dovuto far fronte alle utenze. I problemi di Facs partirono dalle mancanze del Ccsa.
“Con i soldi del Ccsa dovevamo mantenere tutto l’ambaradan – racconta Beruschi – ma l’associazione accumulava arretrati. In quel momento io fui del parere di andarmene e che andasse chiuso tutto. Non avevamo soldi, il Ccsa non versava il dovuto e la luce andava pagata. In un incontro con il presidente del Ccsa, questi ci disse che il suo cda gli aveva detto di non saldare fondazione e allora io dissi: <Ma non è giusto!>, e usai anche delle parole un po’ forti nei suoi confronti, sottolineando il fatto che non si potesse andare avanti in quelle condizioni. Però giustamente gli altri, che vivevano la realtà aresina più di me, mi convinsero che andasse trovata una soluzione per continuare a tenere aperto il centro sportivo ai nostri cittadini. E supportati dal comune arrivò Intese. A ogni riunione, il nostro presidente Pogliani portava le copie delle delibere dell’amministrazione, le lettere, le determine. Quando iniziarono i problemi anche con Intese alcuni nostri componenti si dimisero. In quel periodo io ero fuori città e venni successivamente a sapere che con le loro dimissioni ero decaduto anch’io automaticamente dal consiglio di gestione”.
L’ad d’Intese Alessandro Chiappini e il fratello di lui, Beruschi l’ha conosciuto nei primi momenti che la società romana era entrata nel centro sportivo. “Per me – dice – era la lampada di Aladino. Quello che doveva sistemare tutto. Aveva messo o doveva mettere il grano per pareggiare i conti (poi se lo ha fatto, non lo so), e in cambio di tutti i doveri poteva ricavare le entrate dagli abbonamenti delle attività sportive”.
La sorpresa di essere chiamato in causa in Tribunale anni dopo dal comune è stata grande. “Pensavo – dice sorridendo alla sua maniera – ma come mi han detto che ero fuori da tutto? E mia moglie mi ha detto: Così impari a perder tempo”. Già perché l’impegno “generoso” c’era comunque stato.
“Ci siamo rimasti male tutti – dice – e siccome io faccio sempre lo zio Enrico, quando ho incontrato il sindaco Palestra le avevo suggerito di dare un’occhiata meglio alle carte. <Secondo me sta sbagliando – le avevo detto – l’hanno consigliata male>. Io comunque non butto la croce addosso a nessuno. Sono sempre per la pace fra i popoli”.
Ombretta T. Rinieri
pezzo pubblicato su “Il Notiziario” del 20 luglio 2018 a pag. 63
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