Dall’autoproduzione all’autopromozione: il mercato musicale oggi
12 Aprile 2016 | Inserito da Ombretta T. Rinieri under Bianca, Cronaca, Cultura, Eventi, Musica, Sociale, Spazio giovani |
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Conferenza del critico musicale Giodano Sangiorgi allo spazio giovani Young do it sul mercato discografico oggi. I consigli ai giovani su come tutelarsi, distinguersi, promuoversi ed emergere
ARESE – Giornata evento a tema musicale allo spazio giovani Young do it sabato 9 aprile per festeggiare i “The Last Becks's”, il gruppo vincitore del primo “Music Contest&Jam Session” tenutosi a gennaio. All’evento ha partecipato Giordano Sangiorgi, promoter musicale e culturale, critico, ideatore e organizzatore del Mei, il Meeting delle etichette indipendenti di Faenza, dove sono stati scoperti i Subsonica e i Negro Amaro.
Sangiorgi è, fra molto altro, anche presidente di AudioCoop, il coordinamento delle etichette indipendenti di area pop-rock italiane, interlocutore del governo e del parlamento per la legge sulla musica conferenziere in master universitari sulla comunicazione e lo spettacolo delle università Bocconi di Milano, La Sapienza di Roma e quella di Parma nonché ideatore dei premi Pimi (premio italiano musica indipendente) e del Pivi (premio italiano videoclip indipendente).
Ad Arese Sangiorgi ha tenuto ai ragazzi una conferenza dal titolo: “Dall’autoproduzione all’autopromozione: il mercato musicale oggi”. Coinvolgente, il critico ha dispensato ai giovani consigli su come tutelarsi, distinguersi, promuoversi ed emergere da protagonisti in un mondo affollato di proposte. Ma nulla di frontale. Muovendosi fra i ragazzi ha spiegato con il corpo, prima ancora che con il parlato, l’importanza di non soffermarsi su un centro, perché fuorviante se si vuole avere visione complessiva delle cose.
“Oggi – ha spiegato Sangiorgi ai giovani musicisti delle undici band riunitesi allo Young do it – non vi è più nessuno disposto a scoprire i tuoi brani nel cassetto come avveniva una volta. Oggi bisogna promuoversi da soli e sapere come fare per raccogliere le risorse economiche necessarie a recuperare l’investimento fatto. Sia che si tratti di un mercato di cinquanta persone che di cinquecento, cinquemila, cinquecentomila, cinque milioni”. E’ la singola band, ha voluto dire Sangiorgi ai ragazzi, che deve occuparsi sia del lato artistico che degli aspetti economici, che vanno dall’autoproduzione artistica fino all’album.
E’ finito lo scouting. Impera l’online
Eppure un tempo tutto costava molto di più. “Vi erano molti più filtri per arrivare a un pubblico – ha continuato il discografico, che ama definirsi operatore culturale – mentre oggi, rispetto al passato, se si ha qualcosa di originale, di inedito da dire è più facile arrivare con meno costi a un’ampia platea”. Ma farsi conoscere è però più difficile: “Durante il boom della discografia, quando c’erano i soldi – ha sottolineato Sangiorgi – l’elemento cardine dello scouting era poter attendere. Se c’era un progetto artistico si poteva iniziare e si aspettava che l’artista avesse successo. Ora invece la difficoltà di trovare una proposta nuova deriva in parte dai discografici che cercano prevalentemente cloni di artisti di successo e dall’altra dall’ultra frammentazione dei mercati avvenuta con l’avvento dell’online che confina l’artista a dover appartenere a un genere ben preciso. Unico: o sei rap, o sei rock, o sei pop. Se l’artista li attraversa tutti, non riesce a intercettare i target dei pubblici ben definiti all’interno dei social. Ecco perché è diventato difficile fare delle proposte innovative”.
Gli artisti schiacciati dai monopolisti globali
Il settore della grande musica è formato dalla produzione di strumenti musicali, dagli studi di registrazione, dalle sale prove e dalla diffusione. Una volta si sarebbe detto degli spartiti. Che però, secondo Sangiorgi, non usa più nessuno, perché ora la diffusione della musica avviene attraverso altre forme. Più orale: “Un paese è orientato alla produzione della musica – ha spiegato – a seconda di quanti strumenti musicali vende, quante sale prove ha e quante scuole di musica apre. Dal 2011 si registra ogni anno un calo della vendita di strumenti musicali attorno al 2-4 per cento. Ciò potrebbe significare che la crisi economica ha portato le famiglie a risparmiare sugli acquisti importanti, ma potrebbe anche significare che le giovani generazioni, quelle dei 15enni, preferiscano acquistare l’ultimo smartphone piuttosto che uno strumento musicale. Non a caso, una volta l’ultimo anello della produzione musicale era il giradischi, il mangiadischi o il radiolone con cassette. Oggi sono invece i cosiddetti device come pc, ipad, tablet e appunto gli smarphone il cui fatturato è dieci volte maggiore di quello degli strumenti musicali. Eppure se dagli smartphone si togliesse la musica, il loro valore sarebbe esattamente della metà di quello che vale. Vi è quindi una produzione di oggetti, che sono quelli a cui aspira il giovane, che hanno bisogno di contenuti musicali, che però vengono realizzati sempre meno. Perché? Perché gli smartphone distribuiscono contenuti creativi captandoli dalla distribuzione musicale online, quali youtube, Face book e giù di lì, in mano a 7-8 marchi, che retribuiscono gli artisti se non zero poco più. Dieci anni fa tre milioni di click sugli Yuotube significavano tre milioni di singoli venduti, ossia 360mila euro. Quarant’anni fa con i mangiadischi dei 45 giri significavano tre milioni e 600mila lire. Bobbi solo con gli incassi di una canzone si comprava la casa”.
Riassumendo sette-otto monopolisti globali, alleati con la telefonia, stanno condizionando, anzi determinando, il mercato musicale. Chi può andare a trattare con gli Youtube e dire: “No guarda a me 3,3 millesimi di euro non vanno bene, come si poteva contrattare prima con la discografia – ha continuato Sangiorgi – uno non sai dove abita Youtube, due Youtube è un monopolista per cui decide lui. Se ti va bene bene, se no resti fuori. Tanto non c’è concorrenza”. Tutto ciò blocca i creativi. Tranne che in rari casi, non ci sono più le etichette che investono.
Le chance
La tecnologia ha distrutto. La tecnologia crea. Mentre una volta era d’obbligo passare attraverso i discografici, oggi con un accorto sfruttamento dei social, l’artista può abbattere tutti i filtri tra lui e la sua comunità e costruirsi un suo mercato in grado di farlo vivere dignitosamente. Ecco come.
I diritti, la tutela della Siae
L'assessore Barbara Scifo e il fondatore dei Barabba's Clown Massimo Giuggioli presenti mentre ascoltano Sangiorgi parlare ai giovani musicisti[/caption]“Quando si produce un brano – ha spiegato il critico musicale ai ragazzi dello Young do it – vi sono delle aree che vanno tenute presenti. La più importante è quella dei diritti. Paradossalmente un artista oggi può avere più introiti attraverso i diritti legati a click e visualizzazioni che dalla vendita fisica dei dischi. Che ormai si vendono sempre meno. Perciò è necessario essere iscritti come editore e alla Siae, che è il monopolista in Italia per i diritti d’autore (anche se in futuro la direttiva Barnier modificherà un po’ questo aspetto), così più gente ascolterà la tua musica, più soldi ti ritorneranno. Nel caso in cui poi l’artista produca anche la propria musica, vi sono pure i diritti di copia privata e i diritti connessi. Il fatturato dello streaming è di 50 milioni di euro. Di questi i 2/3 sono dello streaming online. Il download di Youtube sta scomparendo e scomparirà come sono scomparsi l’MP3, i cd, i vinili e le cassette”.Solo quindici anni fa il fatturato dei cd valeva 2 mld di euro. Nella ricostruzione di Sangiorgi, l’innovazione tecnologica ha distrutto il 90 per cento del mercato fisico. Per questo centrali sono diventati i diritti: il fatturato della Siae è di 600 milioni. I diritti di copia privata spettano ai produttori, che spesso sono gli artisti esordienti che si autoproducono la loro musica acquistando il bollino Siae per diffonderla attraverso le società di collecting. La Siae riconosce il 25 per cento dell’investimento, pertanto se un artista ha speso ipotesi mille euro per registrare un cd, dando un mandato a una società di collecting ne può recuperare un quarto. Stessa cosa accade per gli artisti che suonano nel disco o live nei locali.
“Queste informazioni sono spesso ignote ai musicisti – ha detto Giorgio Sangiorgi, che a sua volta ha fondata una piccola società di collecting che copre cinquanta mercati di etichette indipendenti e autopromozioni – e non conoscendole, non vanno a richiedere i diritti. Questi restano lì, non vengono ripartiti e finiscono per restare nelle tasche dei grossi della ripartizione dei diritti, che sono Siae oppure Scf, che è la collecting delle Major oppure le Ubi Major stesse. Ecco che uno dei lavori che noi facciamo è far conoscere a tutti gli artisti la possibilità di andare a cogliere qualcosa della propria produzione attraverso questa filiera. Che è complicata. Che non è a favore dei piccoli, ma che però può rendere qualcosa se in qualche modo la si attiva e se ci si riesce a far conoscere anche sotto questo aspetto”.
Crowfounding
Un altro settore oggi fondamentale per la musica emergente è il crowfounding, che in sostanza sta per “colletta”. “Vuol dire che io che voglio fare un disco e vengo da te – ha spiegato in modo semplice Sangiorgi – e ti chiedo un euro, due euro per realizzarlo, promettendoti in cambio qualcosa, come il cd o una maglietta. Negli ultimi tre-quattro anni in questo modo sono state raccolte 3 milioni di euro e sono state prodotte circa trecento produzioni di nuovi artisti indipendenti ed emergenti italiani. La fraccolta fondi è un percorso impegnativo: non si può abbandonarla lì sperando che arrivi qualcuno. Bisogna obbligare anche la zia a metterci due euro, ma può farci conoscere una platea più ampia che è quella piattaforma dove vanno gli utenti a vedere quali sono le novità”.
Concerti
Secondo i dati Siae, due i modelli live principali: i concerti di lusso e quelli delle feste a ingresso libero. I biglietti dei primi, venduti online, hanno costi esorbitanti. “Sono le stesse società – ha rivelato Sangiorgi – che immettono i biglietti per un quarto d’ora, fingono il tutto esaurito, e poi li rivendono duplicati in altri siti collaterali facendo finta che chi li ha comprati abbia cambiato idea e non ci voglia più andare”.
Nel mercato delle sagre si esibiscono per lo più le cover band. “E’ il dramma – ha considerato il critico discografico – di tutti gli artisti rock”. Tra i due, il mercato live di mezzo, quello dei concerti nei piccoli palazzetti, nei piccoli teatri da 500-1000-1500 paganti, che però sta via via scomparendo. “Fono a dieci anni fa – ha detto Sangiorgi – era il mercato degli artisti indipendenti. Quello degli After Hour , dei Csi, dei Subsonica, che vivevano di questi circuiti con dieci-quindici date all’anno. Non ci sono più. Continuano a esistere i mercati dei circoli, dei club con 300-400 paganti, che con molta difficoltà continuano a suonare dal vivo, appesantiti come sono dalle tassazioni, dalla burocrazia e dalla crisi economica”.
I contest nei locali
Gli artisti emergenti partono da qui. Ai locali conviene perché la musica attira clienti e ritornano dall’investimento. Le band hanno l’occasione di suonare la propria musica. Ma anche questo è un mercato difficile, troppo soggetto agli umori dei gestori dei locali. Per fronteggiarlo, Sangiorgi ha consigliato i ragazzi di consorziarsi in gruppi similari, anche con piccole cifre, per essere più forti nella proposta al locale.
I social
I social, Facebook in particolare, permettono di sbocciare. “Avere un amico – ha detto Sangiorgi – che tutti i giorni si impegna a farci conoscere sui social in maniera costante è un elemento importante per emergere, anche se non assolutamente fondamentale”.
Ombretta T. Rinieri