Don Sandro, direttore del Centro Salesiano, ci spiega la nuova sfida: accogliere i minori stranieri che giungono da ogni parte del mondo
30 Ottobre 2015 | Inserito da Ombretta T. Rinieri under Cronaca, Monografie, Religione, Scuola, Sociale |
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“Non chiediamo l’adesione alla nostra Fede, ma di condividere i momenti comunitari”
ARESE – Quest’anno cade il 60esimo anniversario dell’arrivo dei Salesiani ad Arese. “Se voi educate i ragazzi bravi, sono buoni tutti più o meno; ma bisogna che vi misuriate con quelli non bravi, con quelli inguaribili, con quelli ribelli, con quelli pericolosi, con quelli in cui gli altri non riescono: fate vedere, saggiate il vostro metodo. Don Bosco, di cui siete tanto bravi apologeti, fatelo vedere nei fatti!”. Così li aveva esortati l’arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini e ubbidienti i Salesiani, il 29 settembre 1955, entrarono nell’allora Centro di Rieducazione che apparteneva all’Associazione nazionale “Cesare Beccaria”.
Il metodo Don Bosco, fondato su “ragione, religione, amorevolezza” trasformò il carcere minorile nel Centro Salesiano che tutti conosciamo oggi. Quando i Salesiani iniziarono la loro opera, la società era di tipo patriarcale con i suoi pro e i suoi contro, ma certo i valori della famiglia, dell’onestà, della giustizia, dell’operosità e del senso di responsabilità erano nel vivere civile molto forti e sentiti. Oggi la situazione sociale è invece molto frammentata e gli adulti spesso non sono un buon esempio, facendo esattamente il contrario di quanto dicono.
Come si fa a educare i ragazzi in questo contesto? “E’ fondamentale – dice il direttore del Centro Salesiano di Arese don Sandro Ticozzi – fare in modo che vi sia stabilità nella proposta educativa. Allora, sul contesto esterno, capacità d’intervento piccolissima. Non così sul contesto interno. La proposta educativa, sia per la comunità, che per i ragazzi della formazione professionale che per quelli della scuola media deve essere chiara e avere un orientamento. In questo modo i giovani acquisiscono la consapevolezza di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato”.
Accogliendo minori stranieri, che provengono da ogni parte del mondo, la nuova sfida per un centro d’ispirazione cattolica è anche l’integrazione. “Noi non chiediamo loro l’adesione di fede – spiega don Sandro – perché questa è una scelta di coscienza personale, ma la partecipazione ai momenti comuni sì. Se ti devo dare un pensiero, te lo do. È un pensiero. Non ti chiedo di fare il segno della croce. Il progetto della formazione è un progetto cattolico, non partecipi ai segni di fede, ma l’ora di religione c’è, perché hai scelto questa scuola, cioè è nell’impianto del pof della formazione professionale. Nella scuola media c’è la dimensione della crescita integrale della persona, per cui il buongiorno del mattino lo facciamo tutti. Poi il pensiero del buongiorno è utile e fa bene a tutti se si parla del volersi bene e dell’attenzione agli altri”.
Il buon giorno di Don Bosco? “Esatto. L’Ave Maria, saranno in due a dirla, va bene. I due che pregano. Pregano. Gli altri assistono. Chi ha una fede diversa, prega nel suo cuore il suo dio, e chi non ha nessun tipo di fede, sta lì”.
I ragazzi di fede islamica devono pregare cinque volte al giorno. Lo fanno qui? “Dipende. Come fanno i battezzati ad andare a messa tutte le domeniche? Tanti lo fanno, tanti non lo fanno. E’ la stessa cosa. La fede è di ognuno. La fede islamica dice che non si mangia salame? Poi io la vivo per me e non mangio salame. Io sono di origine islamica, ma ho mollato tutto. Mangerò il salame come tutti gli altri. Se c’è un ambiente che è carico di valori e di proposte, se ci sono degli adulti che sono significativi e capaci di relazionarsi, se c’è una modalità di vita che è condivisa e proposta nel senso chiaro a chi sta crescendo, è molto facile potercela fare. Questo vale per tutti? No. Succede che le relazioni che si instaurano sono originali uno per uno, per cui se tu hai alcune esigenze, all’interno di questo ambiente bisognerà che ciò che ti sta più a cuore possa trovare un po’ di spazio d’espressione. Ho i genitori che sono dall’altra parte del Mediterraneo? Va bene, tu avrai bisogno una volta ogni tanto di collegarti telefonicamente con loro. Non ho più nessuno da nessuna parte? Bene, vorrà dire che la tua vita affettiva sarà molto di più all’interno del centro. Ho i genitori che abitano a 20 chilometri da qui, che vengono a prendermi il sabato e mi riportano la domenica è un’altra cosa ancora”.
O.T.R.
(Il Notiziario – 30 ottobre 2015 – pag. 73)