Perdonare è, senza dimenticare, rinunciare alla vendetta
5 Luglio 2013 | Inserito da Ombretta T. Rinieri under Bianca, Cronaca, Religione |
CASTELLAZZO – Sulla crisi delle vocazioni vi è da considerare come oggi i giovani abbiano molte attrattive. Sono bombardati da proposte edoniste e soggetti a continui ripensamenti. Non sono preparati alla sofferenza di sé e degli altri per poter intraprendere una strada così impegnativa come è quella del sacerdozio. Si tratta di una scelta così importante e definitiva difficile per queste generazioni. Forse per le vocazioni la Chiesa dovrebbe pensare diversamente…
“Ma, avevamo detto – risponde padre Gaspar – che ora stanno soffrendo. Non erano abituate a soffrire. Ora stanno soffrendo. Penso che la sofferenza faccia parte della vita di una persona e aiuti a curare. Non bisogna cercarla. Viene da sola”. Stiamo andando nel trascendentale. “Vi è un elemento momento importante nell’esperienza di San Michele – afferma il superiore generale – che è quello che lui definisce la ‘posizione’, ossia la situazione nella quale una persona si viene a trovare. Il nostro Santo ci ha insegnato che la situazione è un ‘momento teologico’, un momento nel quale Dio è presente nella vita di una persona. Per voi laici ciò è una ricchezza molto grande sapere che quando siete a casa, Dio è presente, che quando uscite a camminare Dio è presente, che quando venite in chiesa lo è molto di più. Tutto ciò per spiegare che Dio è presente non solo in chiesa, ma in tutte le nostre situazioni e San Michele afferma che in tutte queste situazioni e posizioni bisogna praticare l’amore, che non ha limiti nei limiti della posizione. Ossia la posizione è limitata perché semplicemente rapporti i personali sono limitati, ma i credenti sono chiamati a praticare l’amore che non ha limiti. A non chiudersi”.
E’ concetto molto difficile. In pratica significa dover accettare che in una disgrazia che noi non comprendiamo, in una sofferenza grande che non riusciamo ad affrontare, questa sofferenza non sia casuale. “Diciamo – spiega padre Gaspar – che può essere una prova. Non che Dio l’ha voluta, ma che Dio ci chiede, che noi, in questa situazione, restiamo fedeli all’amore”.
Più facile a dirsi che a farsi. Soprattutto davanti al male. “E’ Vangelo puro Il Vangelo ci insegna che quando qualcuno fa del male, mai cercare di confrontarlo, perché il male con il male si aumenta. Il male diminuisce con il bene”. Però non sempre porgere l’altra guancia aiuta. “Ma Gesù dice di metterla – continua padre Gaspar – vuol dire che il fatto che ti hanno battuto non deve essere un motivo per rompere con chi ha commesso quell’azione. E’ necessario dargli un’altra opportunità”.
Ma non vi è contraddizione con l’altro comandamento: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. intendendo dire che prima bisogna amare se stessi per essere in grado di amare gli altri? “Amare il prossimo come te stesso vuol dire cercare per il prossimo lo stesso bene che cerchi per te e allo stesso tempo, non dopo. In questi giorni tornano frequentemente le parole del Papa sull’autoreferenzialità della Chiesa. Vuol dire giustamente questo: Gesù ci dice che la vita consiste nell’aiutare l’altro, nel cercare il bene dell’altro perché questo rende felici. Mentre spesso si sente dire “Cerca di amare te stesso, di farti felice. No, cerca di fare del bene agli altri e questo farà bene a te”.
Ma non si può fare del bene agli altri fino al punto di dimenticare se stessi. “A volte bisogna fare anche questo. Vi sono situazioni che lo richiedono. Pensiamo a Massimiliano Kolbe quando si è offerto per essere sacrificato al posto di un altro uomo che aveva figli. Questo è il massimo, ma il Vangelo è così. Saremo sempre perseguitati e se non siamo perseguitati non siamo veri cristiani. E’ sempre stato così nella storia della chiesa. Ma non bisogna cercare la persecuzione . Non bisogna agire per essere perseguitati. Bisogna vivere normalmente, fare il bene. Tuttavia se ci perseguitano, va bene. Noi continuiamo a fare il bene. Non cerchiamo la vendetta”.
Stiamo parlando di donazione di sé agli altri sempre e comunque e a qualunque costo. E’ il motivo per il quale il cristianesimo spesso viene bollato come la religione della sofferenza, mentre Dio dovrebbe essere sempre gioia, serenità, pace. Altri credi trascinano le genti perché prospettano un Divino diverso, non legato a questo concetto di sofferenza e di donazione. Nella società edonistica in cui siamo immersi hanno più presa. “E’ fare il vuoto – risponde padre Gaspar – invece di fare il pieno. Quando noi non capiamo qualcosa dobbiamo guardare alla persona di Gesù. In lui tutto è vero. E Gesù non è qualcuno che cerca la sofferenza. Gesù è qualcuno che cerca l’amore, la misericordia, il perdono, la tolleranza. Certo vi è anche la sofferenza, ma quello che è fondamentale in Gesù non è la sofferenza. E’ il suo amore nella sofferenza. Invece di maledire, invece di cercare la vendetta dice: Perdonali che non sanno cosa fanno”.
Quale consiglio dare a una persona che soffre molto per un male fisico, per un male spirituale , per un problema economico? Come può una persona trovare un momento di consolazione, un momento di gioia e di felicità mentre sta attraversando una forte prova? “Le persone non sono tutte uguali – afferma padre Gaspar – È molto diverso dare una parola di consolazione a una persona che ha fede rispetto a una che non ne ha. Non è la stessa parola. A chi conosce Gesù, subito direi: “Se non capisci la tua sofferenza guarda Gesù crocefisso”. A chi non ha fede è più difficile. Non vi sono formule. Quando mi trovo davanti a una persona cerco il modo di avvicinarmi a lei. E a volte l’unica cosa da fare è tacere perché senta che nel silenzio le sono vicino”.
Tornando al discorso sul perdono, il lasciare aperta la porta è un concetto molto sottile. Il perdono per essere dato deve essere richiesto. Se chi ha fatto del male non chiede perdono perché lasciargli aperta la porta? A volte, anche senza intenzione, una persona può ferire senza rendersene conto. Per chi il male lo subisce può essere necessario proteggersi. A volte è necessario educare gli altri al rispetto. “Io lascio la porta aperta – afferma padre Gaspar – ma so molto bene che vi sono delle situazioni che non dipendono dalla mia porta aperta o chiusa, ma che dipendono anche dall’altro. Quello che dipende dall’altro è un suo problema, non il mio. Io resto aperto alla riconciliazione.”
Sempre e comunque? “ Qui torniamo su cosa si pensi significhi perdonare. Normalmente si dice che perdonare è dimenticare intendendo che se non si dimentica non vi è perdono. Invece, è più esigente perdonare, senza dimenticare. Perdonare è, senza dimenticare, rinunciare alla vendetta. In altri termini: io non ho dimenticato, ma per il bene tuo, mio e di tutti sono disposto a perdere e a non avere l’ultima parola”.
Può sembrare debolezza. “Non è vero – risponde il padre betharramita – non posso dimenticare e allora tutta la vita rimango qua senza fare niente? No, senza dimenticare metto la faccia, senza dimenticare rinuncio alla vendetta, senza dimenticare accetto di perdere”. E allontanarsi, andare per la propria strada, per proteggere se stessi? “E’ giusto, perché dal male bisogna proteggersi. Ma è diverso dal cercare il male, la vendetta”.
Non è chiudere la porta? “Io penso di no”.
Ombretta T. Rinieri